Donne e fantasy che mix intrigante. Se
avete i capelli bianchi e non per qualche magia del vostro coiffeur alla moda,
ricorderete l’era in cui l’altra metà del cielo che bazzicava questo genere era più rara di un unicorno. Nella lettura dei sacri testi, che fossero quelli di Tolkien o Howard, le due divinità maggiori del Olimpo del fantastico, trovare una pulzella era un
evento. Innanzitutto era una ra
rità vederne qualcuna interessarsi al genere e prendere
parte a convention che in quei lontani giorni erano per lo più fiere del fumetto. I più arguti all’epoca
sostenevano la tesi che non era vero che mancasse la presenza femminile ma
solo, come per le donne dei nani, era difficile distinguerle dalle controparti
maschili, perché anch’esse dotate di folta barba. Ebbene quest’era hyperborea
che fosse buia e gloriosa, a seconda dei punti di vista, svanì come per la
rottura di un incantesimo. E improvvisamente le fiere si popolarono di schiere
di forti e intrepide principesse guerriere e agguerrite maghe . Forti ma belle
come madonne di Raffaello. Intanto il fumetto si strinse per lasciare spazio
prima ai manga, poi ai videogiochi quindi al cosplay. Nel contempo le armate di
lettrici prima aggredirono i tomi maschili e poi fecero virare in rosa il
genere fino allo sbocciare dell’urban fantasy per sviluppare addirittura tutta una pubblicistica diretta proprio a loro ricca
di cavalieri introspettivi e barbari palestrati ma gentili e sensibili
all’amore. I sopravvissuti dell’epoca precedente divennero come dei Lacoonte
quando raccontavano di come era una volta la donna nel genere fantasy. E qui
torniamo all’interno delle storie del genere. Loro in quelle pagine se le
ricordavano sinuose creature mentre campeggiavano sulle copertine figlie delle
matite magiche di Frank Frazetta, in abiti succinti e sempre tese all’arrivo
dell’eroe che voleva salvarle. Una visione maschile che era lo specchio di un
mondo interamente maschile come il suo pubblico. Non che a questo pubblico
(soprattutto adolescenziale) non interessasse l’altra metà dell’universo. Anzi!
Ma appunto la guardava dall’al di qua. E
così la figura femminile non aveva una sua centralità narrativa, se non appunto
come coprotagonista da salvare o al massimo come perfida antagonista. Era
soprattutto un pretesto per riempire le pagine dei fumetti, perché qui
soprattutto di fumetti parliamo, di corpi flessuosi e torniti, (s)coperti di
veli trasparenti o stretti in guaine di pelle ma ridotte all’osso. Insomma una
delizia per gli occhi (maschili) e una delizia anche per qualsiasi lettura
psicoanalista. Un vezzo o un vizio che quando il mondo maschile del fantasy si
è incrinò però non scomparve. Invece di annichilirsi, nella generale
erotizzazione dell’immaginario che attraversa la nostra società, ha trovato
nuove vie pur conservando i suoi compiaciuti cliché. A un certo punto hanno
iniziato a spuntare a spuntare nei fumetti fantasy eroine a bizzeffe. Eroine per maschietti però.
Vere e proprie pin-up strizzate in costumi sempre più minuti e che via via
occhieggiavano al festish e al bdsm con tacchi vertiginosi, borchie e catene. Appartiene
a questa fattispecie anche Tarot, whitch of the black rose che a marzo ha
festeggiato i 20 anni di pubblicazione a dimostrazione come questo genere
rimane vitale e apprezzato. Opera del bravo Jim Balent che ne cura testi e
matite e pubblicato negli Stati Uniti dalla casa editrice BroadSword Comics. La lettura del 121esimo numero è un
piccolo e delizioso manuale di quanto fin ora abbiamo raccontato con la bella,
anzi la bellissima protagonista che alla chiusura di un lungo arco di storie
intraprende un viaggio di rinascita che è interiore del personaggio ma anche
della serie. Un viaggio in cui, su un impianto narrativo di tutto rispetto, ben
strutturato e ben scandito, seppur senza grandi slanci creativi, la nostra
eroina che si ritrova subito nuda passa da una pagina all’altra alla ricerca
degli elementi del suo costume. Una recherche come detto spirituale, ma anche
fisica con un compiaciuto ostentare di seni e natiche quanto mai tonici. Un
ammiccamento continuo giocato anche con il contrasto dei fondali grigi e scuri
e il corpo latteo di Taron. Un ammiccamento che seppur in alcuni momenti
risulti un po’ troppo insistito e presente nella pagina. Ma il gioco di questo
fumetto, che può piacere o meno ma è un gioco consapevole e, forse, non senza
una punta (almeno si spera) di ironia quando arriva a raccontare la bella
eroina culminare la sua odissea recuperando non solo motivazione e fiducia ma
dopo guanti da soubrette e stivali sadomaso anche il resto della sua armatura
per… coprirsi. Ovvero un pettorale in metallo e soprattutto un minibikini da
antologia! Becero maschilismo e strumentalizzazione del corpo della donna.
Probabile ma vabbeh, a noi della vecchia era, lasciateci almeno questa riserva
indiana dell’immaginario!
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