Rough Riders, quando i supereroi fanno la storia


C’è Teddy Roosvelt, c’è Henry Houdini, c’è Thomas Edison solo per citare i più conosciuti.  Sono gli elementi di punta di uno dei supergruppi a fumetti più inaspettato. Si tratta dei Rough Riders che danno il titolo all’omonima serie prodotta negli Stati Uniti dalla Aftershock e portata in Italia dalla Saldapress. L’editore bolognese ha deciso di inserire il volume (raccoglie i primi sette albi della serie che formano un arco narrativo completo) nell’iniziativa “We are family”, che mette a disposizione gratuitamente alcuni dei fumetti del suo bel catalogo per stare a casa e affrontare meglio la quarantena da Covid-19. Una serie, i Rough Riders, nata nel 2016, ad opera del prolifico e poliedrico Adam Glass che si alterna tra fumetto, cinema e serie tv (Cold Case e Supernatural). Qui Glass scommette tutto sul
fascino dello steampunk, quel filone della fantascienza nato ufficialmente tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 e consacrato nel 1990 dai padri del cyberpunk William Gibson e Bruce Sterling con il loro romanzo La macchina della realtà. La musa ispiratrice di Rough Riders però è senza dubbio un altro fumetto: “La lega degli straordinari gentlemen di Alan Moore di cui il primo numero andò in stampa nel 1999. In quell’opera il genio oscuro di Watchmen ebbe l’intuizione di affondare le mani nell’immaginario dell’800 quando tutto ebbe inizio. Se infatti dobbiamo pensare al momento in cui la narrativa di genere spiccò il volo con i suoi eroi come la conosciamo ancora oggi, incarnazione di sogni e pulsioni della società industriale, ebbene è nella seconda metà del XIX secolo che dobbiamo posizionare le lancette della macchina del tempo. E’ in quel momento che la società di massa che spuntano personaggi che diventano indimenticabili, proto supereroi: dal capitano Nemo, all’uomo invisibile, da Dracula al dottor Jeckyll fino a Sherlock Holmes. Perché allora non formare un supergruppo con tutti questi personaggi? E via quindi a narrare le storie di questo team-up che fa brillare gli occhi.
Ma a ben vedere nell’immaginario dell’800 non ci sono solo personaggi inventati. A fianco delle creature uscite dalla penna ci sono quelle in carne ossa. Una società che assapora il gusto della modernità ha bisogno di sempre più eroi, di modelli da imitare, vite straordinarie a cui abbeverarsi per sopportare la propria vita normale.
Un pantheon che con il passare dei decenni al pari dell’altro inventato, non si appanna minimamente. Semmai il tempo confonde solo i confini tra i due facendo di uomini in carne e ossa vere e proprie leggende. E qui arriva in scena il nostro Glass che pesca a piene mani. Il suo supergruppo sarà composto da personaggi storici e tutti made in Usa. A fianco del grande mago, di uno dei più amati presidenti degli Stati Uniti, del geniale inventore-imprenditore vengono inseriti la micidiale pistolera, vedette del circo di Buffalo Bill, il primo pugile afroamericano a diventare campione mondiale, il primo boss della malavita di New York.  Storico e autentico anche lo scenario in cui i personaggi sono chiamati a muoversi: la guerra ispano-americana a Cuba del 1898 che segnò l’inizio di quell’espansionismo a stelle e strisce che avrebbe portato in mezzo secolo gli Usa a diventare la prima potenza del mondo. Anche il nome del gruppo Rough Riders ha una sua ben precisa connotazione storica perché così si soprannominò la brigata di volontari guidata da Teedy Roosvelt durante l’invasione di Cuba. E il gioco di rimandi nelle pagine del fumetto è continuo, dal tragico incendio alla fabbrica Triangle all’origine della festa della donna (anche se temporalmente i conti non tornano) con cui si apre il primo numero  in un rimando continuo, pagina dopo pagina. Un gioco non sempre facile da cogliere soprattutto da un lettore europeo ma indubbiamente stimolante. Un gioco ben sorretto dai disegni del veterano Patrick Oliffe che, solidi e massicci, conferiscono un passo epico ai personaggi. Se proprio dobbiamo trovare un difetto è nella sceneggiatura costruita da Glass che avvince ma non lievita completamente nel finale. Rischio tipico di questo genere, mix continuo tra ucronia e mistero. Alla fine però le parti contano più del risultato. C’è il piacere della descrizione di contesti e personaggi, il gusto di raccontare le loro vicende mentre cercano di dipanare il mistero. Ma un po’ come accade nell’ultimo Indiana Jones o in molti albi del nostrano Martin Mystere: il viaggio conta più della meta finale.


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