Un ultimo saluto e via. John Doe ci ha
lasciati. Forse non poteva essere altrimenti. In 10 anni, il primo numero
arrivò in edicola nel settembre 2002, questo ragazzaccio dei fumetti ce ne ha
fatto tenere di fiato sospeso. Per la sua sorte narrativa ma anche
editoriale. Fuori e dentro l'albo, ma sempre sopra le righe, il personaggio di
Lorenzo Bartoli e Roberto Recchioni con la caratterizzazione grafica e le copertine di Massimo Carnevale, non poteva che finire. Niente aggettivi o
avverbi dopo il "finire", niente puntini di sospensione, finire
punto e basta. Una sorte segnata per non tradire se stesso. Un estremo atto di
originalità per un fumetto che ha saputo essere bonellide come nessuno in
questi anni. Bonellide nel senso migliore del termine. A partire dal formato a
quaderno, il bianco e nero, le 100 pagine, la serialità. Uno modello,
una tradizione che ha interpretato, questa sì, tradendola ma sempre e comunque
per rinnovarla. John Doe ha interpretato lo standard di via Buonarroti in senso
jazzistico coniugando la serialità con una capacità di cambiamento a dir
poco spiazzante. Una ventata di modernità che spesso è diventata un uragano.
E si sa, gli uragani devastano.
Mandano all'aria soprattutto le sicurezze
di cui si nutrono i lettori. Quelle consuetudini, quel riconoscersi, quel
rincontrarsi che poi sono uno dei piccoli piaceri della serialità, soprattutto
nei fumetti. E' qualcosa di prettamente infantile, il piacere che scoprono i
bambini nella ripetitività, quando sperimentano per la prima volta un sapore,
una parola, un gioco e c'è posto solo per quello. Un piacere che non ci lascia
neanche nelle età successive. La nostra vita è anche questo. Chiuderci in una
circolarità e corrervi dentro come criceti. Sempre più veloci, senza mai andare
da nessuna parte. Ma è chiaro che tutto quello che è cerchio è anche trappola,
confine, limite, costrizione. Proprio come la gabbia di una pagina. E per
John Doe questo era inammissibile. Un vero eroe borghese, moderno per definizione.
Per lui il tempo può avere le magnifiche curve di una bella donna, ma non una
curva chiusa. L'esistenza è andare avanti lungo una retta e magnifiche sorti
progressive. Fa niente se poi si scopre come nel La linea di Osvaldo Cavandoli che
quella riga a un certo punto finisce. Se poi finisce davanti a qualche muro:
boom! Lo si sfonda. Come si sfondano le vignette. In cerca del proprio destino.
John Doe è un rivoluzionario vero, come solo i borghesi sanno essere.
Con il senno di poi che narrativamente il
buon direttore della Trapassati Inc, non accettasse il suo ruolo, lo si poteva
capire fin dal primo numero. Un arrampicatore sociale pronto a giocarsi tutto,
ad andare in rotta con il proprio datore di lavoro, anche quando si tratta
della morte, fino a soffiarle il posto. Gli ingredienti per divertirsi
c'erano tutti, un uomo in fuga, un segreto terribile, una minaccia da sventare,
tanto soprannaturale, azione, un buon gruppo di comprimari e cattivi ben
caratterizzati. Si poteva andare avanti per quanto si voleva. Ma ecco che John
Doe ci stupisce. Due anni, poco più e arriva alla fine. O almeno potrebbe
essere la fine. Un arco narrativo si conclude. Proprio come una stagione di
telefilm. Il paragone non è casuale. Sono gli autori stessi a parlare di
stagioni del loro personaggio. Il gioco dell'oca ha un numero di caselle
limitato. Poi si arriva al traguardo e tutti gli elementi che sopravvivono sono
pronti per essere buttati sul tabellone per un altro giro. Ma il tabellone non
è più quello. Il divertimento diventa stravolgere tutto e rilanciare. La
memoria corre a Munholland Drive di David Linch. Come un caleidoscopio i pezzi
di vetro formano disegni sempre diversi. Qui però una logica c’è. La famosa
linea di cui si diceva. La scommessa è reinventare il protagonista ogni
volta. Cambia il suo mondo e nonostante non ce ne accorgiamo cambia anche lui.
Stagione dopo stagione come in un videogioco o un super sayan continua a
trasformarsi in un vertice di potere. Dopo la morte diventa di dio e poi punta
ancora più in alto. Però l'effetto più spiazzante è la presa di coscienza
progressiva del buon John Doe. Il suo scoprire che altro non è che un fumetto.
E' una realtà dura da digerire per chi pensa di essere un uomo che non deve chiedere mai… figurarsi quando si realizza di non essere neanche un uomo, ma solo un personaggio, una sagoma nelle mani degli autori che ti muovono e ti vestono a loro piacimento come si vede nella copertina dell'ultimo numero. Da questa presa di coscienza parte la sfida finale del buon John. Riuscire a tagliare quei fili. Conquistare la sua piena autonomia e scrivere da solo il proprio destino. Un po’ l’aspirazione di tutti. Un obiettivo che il nostro John, cresciuto alla scuola dei duri, naturalmente non molla nemmeno per un secondo. E l’essenza di questa quarta stagione, una guerra a tutto campo agli autori, una guerra di liberazione dalla dittatura che per il nostro eroe si dimostra il genere. Uno scontro all’ultimo sangue che fa anche delle vittime innocenti, i poveri lettori in primis. Per loro c’è qualche pagina di compatimento nell’ultimo numero. Per rompere la propria ruota (narrativa) John Doe finisce per scardinare anche la loro. Nonostante gli autori cerchino in un disperato tentativo di intrappolarlo nei generi, John li distrugge uno dopo l’altro portando in superficie i meccanismi che li contraddistinguono. Tutta la magia, l’incantesimo che i mille piccoli artifici della narrativa creano vengono mandati in mille pezzi, numero dopo numero. Questa diventa la nuova narrazione. Una guerra totale che culmina nel numero finale. E cosa manca se non sfondare l’ultima parete. Un po’ Pirandello, un po’ Woody Allen nella “Rosa purpurea del Cairo”, John abbatte anche la parete che lo separa dalla nostra realtà. Facendo sfoggio di quell’ironia beffarda che sottotraccia ha caratterizzato la serie il gran finale è un ribaltamento tanto stupefacente quanto inevitabile. Ovvio come può essere la dimostrazione di un teorema o il risultato di un’equazione. Se i lettori vogliono diventare personaggi dei fumetti, il personaggio del fumetto vuole diventare un lettore, una persona vera, con i piedi ben piantati per terra che si gode i piccoli piaceri quotidiani e lascia i sogni supereroistici ad altri. A lui basta la sua, la nostra vita, da uomo tranquillo. E così sia. Tanti saluti John e grazie di tutto!
E' una realtà dura da digerire per chi pensa di essere un uomo che non deve chiedere mai… figurarsi quando si realizza di non essere neanche un uomo, ma solo un personaggio, una sagoma nelle mani degli autori che ti muovono e ti vestono a loro piacimento come si vede nella copertina dell'ultimo numero. Da questa presa di coscienza parte la sfida finale del buon John. Riuscire a tagliare quei fili. Conquistare la sua piena autonomia e scrivere da solo il proprio destino. Un po’ l’aspirazione di tutti. Un obiettivo che il nostro John, cresciuto alla scuola dei duri, naturalmente non molla nemmeno per un secondo. E l’essenza di questa quarta stagione, una guerra a tutto campo agli autori, una guerra di liberazione dalla dittatura che per il nostro eroe si dimostra il genere. Uno scontro all’ultimo sangue che fa anche delle vittime innocenti, i poveri lettori in primis. Per loro c’è qualche pagina di compatimento nell’ultimo numero. Per rompere la propria ruota (narrativa) John Doe finisce per scardinare anche la loro. Nonostante gli autori cerchino in un disperato tentativo di intrappolarlo nei generi, John li distrugge uno dopo l’altro portando in superficie i meccanismi che li contraddistinguono. Tutta la magia, l’incantesimo che i mille piccoli artifici della narrativa creano vengono mandati in mille pezzi, numero dopo numero. Questa diventa la nuova narrazione. Una guerra totale che culmina nel numero finale. E cosa manca se non sfondare l’ultima parete. Un po’ Pirandello, un po’ Woody Allen nella “Rosa purpurea del Cairo”, John abbatte anche la parete che lo separa dalla nostra realtà. Facendo sfoggio di quell’ironia beffarda che sottotraccia ha caratterizzato la serie il gran finale è un ribaltamento tanto stupefacente quanto inevitabile. Ovvio come può essere la dimostrazione di un teorema o il risultato di un’equazione. Se i lettori vogliono diventare personaggi dei fumetti, il personaggio del fumetto vuole diventare un lettore, una persona vera, con i piedi ben piantati per terra che si gode i piccoli piaceri quotidiani e lascia i sogni supereroistici ad altri. A lui basta la sua, la nostra vita, da uomo tranquillo. E così sia. Tanti saluti John e grazie di tutto!
Commenti
Posta un commento