Jan Dix, cronaca di una morte annunciata


Siamo rimasti sorpresi. Lo confessiamo la fine di Jan Dix ci ha spiazzato. Non ci aspettavamo proprio l’epilogo di questo fumetto. La miniserie lanciata dalla casa editrice Sergio Bonelli, nel maggio del 2008 dopo 14 numeri si è conclusa con un fuoco d’artificio che nell’empireo del fumetto popolare prima non s’era mai dato da vedere. Di sorprese questo fumetto imperniato su un critico d’arte olandese ce ne aveva riservate parecchie. Alcune apprezzabili, altre meno. Non è questo il momento per approfondirle. Resta il fatto che la fine di Jan Dix rappresenta una pietra miliare nella storia del fumetto popolare e in quella dell’editore. E forse per un personaggio abituato a vivere nel mondo di quadri e grandi pittori, firmare un capolavoro come propria fine rappresenta una sorta di legge del contrappasso obbligatoria. Comunque la si pensi infatti di personaggi che rinunciassero alla propria vita come supremo atto di sacrificio per salvare una galassia o i propri cari qualcuno ne abbiamo, ma di un protagonista che si immola cedendo alla disperazione proprio ci sembra non se ne ricordi altri. Tanto più nella produzione ultrasessantennale della Sergio Bonelli. Invece l'autore Carlo Ambrosini, per l’eccezione, non solo ai testi ma anche alle matite del personaggio, ci propone una storia ad alto tasso di drammaticità e con un colpo di scena finale di gran coraggio. Fin dalle prime tavole, disegnate con quel suo tratto sospeso tra il reale e l’immaginario, tra l’onirico e il ricordo, Ambrosini dimostra di giocare al rialzo. Anche la tavola più rassicurante, quella che dovrebbe essere un ricordo, un bel ricordo dell’infanzia, ci appare fuori sincrono, straniante. C’è qualcosa che non va. Il filtro della memoria è sfuocato. Non coincide con il reale. Il sogno non è mai fonte di tranquillità, ricuce i buchi dell’infanzia solo per disegnare un quadro che non è quello reale. Ne esce un disagio che va in un crescendo claustrofobico sia per il protagonista Jan Dix, sia per il lettore. Addentrarsi in quest’ultima storia della serie, vuol dire percorrere un terreno aspro, spinoso. Un ambiente che respinge. E’ un viaggio in un’avventura che è tutta interiore. Una discesa agli inferi della disperazione. Le pagine scorrono lente tra le mani tra il senso di disorientamento e la sensazione che non sia solo il protagonista, Jan Dix, fuori posto, ma anche il lettore. Si prova il disagio di chi sta vedendo qualcosa di proibito, che non dovrebbe essere rivelato, i pensieri, più profondi di una persona. Ambrosini infatti va a scavare a fondo, più a fondo del solito, con quest’ultimo numero del suo personaggio. Il viaggio interiore, tipico del suo fumetto, diventa un confronto titanico della mente contro un demone invincibile, una morte di cui non ci si può dare ragione e che porta a un terremoto della psiche del protagonista. Jan Dix, lo capiamo, di fronte a questa situazione è un perdente annunciato e il suo gesto estremo arriva quasi inevitabile. Sotto questa luce allora conclusione inaspettata diventa l’ovvia soluzione di un teorema che nella sua rigida geometria non dà scampo. E poteva, finire lì. Ma forse era un gesto fin troppo forte per un fumetto della Sergio Bonelli e quindi per definizione destinato a un pubblico di molti. O forse Ambrosini ci vuol dire che i fumetti non sono matematica. Quindi si inventa il colpo di reni finali. Un po’ alla David Linch di Mulholland drive, splendido film del 2001, raccoglie i cocci della narrazione, li mescola e li rilancia sul tappeto perché formino un nuovo quadro, con un nuovo inizio. Perché poi la magia del cinema, come del fumetto, di qualsiasi storia, alla fine è proprio questa. Per due personaggi passano infinite storie.

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