Anni '70, la concretezza al potere

Solido e diretto, il terzo numero di Cassidy, la nuova miniserie della Sergio Bonelli conferma quanto di buono visto nei primi due albi. Concretezza e solidità nelle trame unite a un ritmo piacevole. Dopo lo stillicidio senza fine di Caravan, avevo un po' di timore a lanciarmi nell'ennesimo prodotto della casa editrice milanese le cui politiche editoriali ormai sono più complicate di Lost e più oscure di una quartina di Nostradamus. Cassidy invece si è rivelato una piacevole sorpresa. Senza tanti fronzoli sembra proprio che lo sceneggiatore Pasquale Ruju sappia benissimo dove voglia andare e soprattutto dove voglia portare il lettore. La cornice è quella degli anni '70, il 1977 per la precisione e gli stilemi narrativi sono quelli dei gangster movie dell'epoca. L'idea è suggestiva e dichiarata. Raccontare quel momento di passaggio, la fine dell'epoca analogica e l'inizio di quella elettronica che nel giro di pochi, pochissimi anni sarebbe divenuta digitale. Cassady è bene precisarlo racconta il crepuscolo della prima, ne ricorda i pregi: la bella musica, i grandi film, le auto, la moda. Un mondo che ci appare semplice, quasi vuoto paragonato a quello di oggi, senza pc, senza cellulari, senza ipad, iphone, ipod. Un mondo in cui i telefoni avevo la rotella per fare i numeri e le televisioni erano spesso in bianco e nero. Un'epoca che vista da oggi ci pare semplice, più vivibile, libera da tutta la sovrastruttura tecnologica ancora capace di concentrarsi sul significato delle storie. E in questo Cassidy mantiene perfettamente ciò che promette. Le trame di Ruju, finora tutte collegate, come a raccontare un'unica storia, sono rocciose, forse qualcuno potrà dire senza grandi sorprese, ma anche senza buchi o illogicità. In linea con il modo di narrare dell'epoca quando il taglio dei film anche quelli per il grande pubblico era indubbiamente più autoriale.
Rimane un dubbio però. Che la scoperta delle possibilità narrative, di un'epoca vicina ma predigitale, sia piuttosto una riscoperta. Ciò una sensazione riservata a quanti quegli anni li hanno attraversati e vissuti, magari anche solo da bambini, però c'erano. E gli altri? Le nuove generazioni che potranno pensare? Potranno capirla? Trovarne i riferimenti? O sarà solo una sorta di fiction muta?

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